Questa non è un'apologia del fantasy italiano #3
Abbiamo ancora tanto da imparare, e a volte non lo ammettiamo.
Ahimè, ho saltato la pubblicazione di aprile e con maggio sono davvero in ritardo. Detesto non portare a termine i miei obiettivi, ma ancor di più odio fare male le cose che mi piacciono: ecco perché ho scelto di attendere per trovare l’argomento giusto e, soprattutto, scriverne con piacere. Ed eccomi qui, mentre pian piano cerco di incastrare lavoro, vita privata e le mie attività da content creator e scrittrice.
Sul fantasy italiano
Dopo aver letto il post di aprile della newsletter di Valentina Pinzuti, una riflessione ha iniziato a farsi strada tra i pensieri della quotidianità ed è anche emerso in un piccolo inciso nell’intervento del panel che - insieme a stimate personalità (anche amiche) del mondo editoriale - ho tenuto in chiusura del Salone del Libro di Torino. Il tema era “Il fantastico italiano, da Sandokan a Eymerich” e potete recuperarlo qui.
Ebbene, il concetto che tendiamo a ripeterci, un po’ con convinzione un po’ per autoconvincimento, è che “lɜ autorɜ di fantasy italiano non hanno niente da invidiare a quellɜ stranierɜ”. Per quanto siano anni che mi impegni a divulgare il fantastico nostrano e sia un’autrice io stessa, purtroppo quest’affermazione è ben lontana dalla realtà. Cito dalla riflessione di Valentina Pinzuti:
E ogni volta che neghiamo queste differenze, e la somma delle tante, piccole ma importanti cose che da dietro le quinte aiutano a spingere un romanzo straniero rispetto a un romanzo italiano, stiamo dipingendo un quadro che non esiste. Mettiamo a confronto persone che possono sostentarsi, magari più che agiatamente, con il solo lavoro di scrittura creativa con persone che la scrittura devono incastrarla in mezzo a mille altre cose necessarie per far quadrare i conti. E non significa che loro (o noi) siano migliori o peggiori, né tantomeno che alcuni romanzi siano da boicottare e/o da osannare. Significa semplicemente riconoscere che dobbiamo districarci in condizioni diverse e che operiamo in ecosistemi separati. Il confronto non dovrebbe esserci e basta.
Non possiamo fingere che il panorama editoriale italiano, redivivo nell’ambito fantasy solo nell’ultimo anno o giù di lì, garantisca un sigillo di qualità a noi scrittorɜ: che si parli di una casa editrice piccola o una big, non sono una novità le esperienze negative e l’evidente mancanza di attenzione nei confronti del nostro misero lavoro. Sia chiaro, sono perfettamente consapevole che questo possa accadere con grande facilità anche all’estero - e a tal proposito vi suggerisco la lettura di Yellowface, di R.F. Kuang, un testo che vi terrà incollatɜ alle pagine con un discreto senso di disgusto. Tuttavia stiamo parlando di un mercato molto più strutturato, che poggia le sue basi innanzitutto su corsi universitari riconosciuti per autorevolezza, al contrario di italianɜ senza alcuna qualifica che professano l’inutilità dello studio o finiscono per scrivere romanzi senza nemmeno conoscere le basi della narratologia; si tratta di certo di una formazione costosa (ma il sistema dei college e dei prestiti studenteschi meriterebbe un discorso a parte che non affronterò) che però garantisce autorevolezza, mentre noi nel migliore dei casi ci troviamo in balìa di un sistema polarizzante che litiga ancora sullo show don’t tell e finisce per dare vita a vere e proprie sette della scrittura.
Oltre al sistema su cui poggiano le nostre differenti esperienze editoriali, non possiamo dimenticare il potere dell’inglese, che viene letto praticamente in tutto il mondo. E su un fattore di lingua si basa un’altra problematica del fantasy italiano, perché prima che ciò che viene pubblicato all’estero venga tradotto e recepito dal nostro mercato, affinché si possano recepire le tendenze in atto e accogliere le istanze di cui il mondo anglofono si fa portavoce, passano anni. Senza contare che buona parte del lettorato fantasy legge in lingua originale abbattendo le barriere all’origine, ma creandone altre nei confronti delle opere italiane: quando escono sono già vecchie.
È colpa nostra, dunque? Sì e no. È chiaro che, complici tutte le motivazioni di cui sopra, non possiamo pretendere da noi stessɜ un’ubiquità talmente elevata che ci permetta di scrivere, leggere libri italiani e stranieri in lingua, studiare nozioni utili alla nostra scrittura, ma anche lavorare e fare tutte le altre cose a cui ci obbliga la performatività di questa società capitalista. E poi magari mangiare, stare bene, respirare un attimo.
Al contempo, però, ritengo che sarebbe comunque opportuno avere un occhio di riguardo in più per quello che il mercato estero propone in termini di soluzioni narrative e tematiche contemporanea. Talvolta ho l’impressione che, in questo vicendevole autocompiacimento in cui finiamo per sguazzare, ci fermiamo agli ottimi risultati raggiunti (e questi sono evidenti, perché la qualità delle penne italiche sta finalmente riabilitando il genere fantasy) e perdiamo di vista l’orizzonte insieme alle numerose tappe che possiamo e dobbiamo ancora raggiungere. La speculative fiction è uno specchio della realtà e dei suoi mutamenti, mentre spesso rimane l’immagine speculare delle opere che già abbiamo assimilato e fanno parte della nostra storia.
Ma parliamo anche di un altro problema, che si più riassumere nella tossicità del fantasy italiano, che potete approfondire in un ottimo video del collega e amico Luca Mortali. Questo ulteriore punto di discussione, oltre a riagganciarsi a quanto detto in precedenza, mi permette di aprire un’ulteriore parentesi sul sottogenere del dark fantasy che in Italia, ancor più che all’estero, è dominato da una platea di lettori e scrittori perlopiù maschili. Da persona che scrive in questa categoria e che osserva il movimento sui social, trovo questo ambiente piuttosto respingente per le voci femminili e ancora indietro per quanto concerne la rappresentazione della diversità sia umana che editoriale.
Cito dal mio ultimo post su Instagram:
Scrivere è da sempre un atto politico. Per me, come autrice fantasy, significa utilizzare i conflitti in atto nel nostro mondo per trasporli in quello secondario che scelgo di tratteggiare, mettendo in dubbio le strutture marcescenti della nostra realtà, problematizzandole e provando a decostruirle.
Quando ho iniziato a scrivere ITN, mancavano tante storie saffiche sul mercato editoriale - anche se per fortuna negli ultimi anni c’è stato un notevole arricchimento con la traduzione di molte opere valide. Ma in Italia? E soprattutto, cosa ci dice questo del panorama dark fantasy italiano?
Un sottogenere colonizzato per anni da scrittori cis ed etero, che utilizzano la violenza femminile in ogni sua forma per generare soluzioni (lo sono mai?) narrative povere e ripetitive. Dove sono le donne vere? Che spazio trovano le persone queer nel lato più oscuro del fantastico italiano?
Oltre alla dilogia de I discendenti della già citata Valentina Pinzuti e quella de La veggente di Lisa Bilotti, fatico a far emergere altri nomi (a meno che si tratti di opere borderline tra i sottogeneri). Forse questa ostilità fa parte di una mia percezione personale rispetto a come siano state accolte protagoniste femminili e una relazione saffica nel mio romanzo (= roba per donne), ma è innegabile l’assenza di voci che si distacchino dallo stereotipo maschile del fantasy dark. Quindi, citando dal video di Luca, se ci impegnassimo a fare meno schifo insieme, forse il panorama del fantastico odierno potrebbe solo che beneficiarne.
L’invidia viene sempre descritta come un livore tagliente e velenoso. Un’acredine infondata e meschina. Ma ho scoperto che per gli scrittori l’invidia assomiglia di più alla paura. L’invidia è quell’impennata del battito cardiaco tutte le volte che leggo dei successi di Athena su Twitter: l’ennesimo contratto per un libro, le candidature ai premi, le edizioni speciali, gli accordi per la vendita dei diritti all’estero. L’invidia è ciò che provo quando mi paragono a lei e ne esco costantemente sconfitta; è “penso che non scrivo abbastanza bene o abbastanza in fretta, quando sento che non sono, né sarò mai, all’altezza. L’invidia è sapere che quel contratto a sei cifre appena firmato con Netflix mi scombussolerà per giorni e mi impedirà di concentrarmi sul mio lavoro, e mi coprirà di vergogna e disgusto per me stessa ogni volta che vedrò uno dei suoi libri in vetrina.
Tra tutti gli scrittori che conosco, non ce n’è uno che non provi queste cose nei confronti di un collega. La scrittura è un’attività molto solitaria. Non hai mai la certezza che ciò che stai creando valga qualcosa, e il sentore di essere rimasto indietro nella corsa verso il successo ti scaraventa nell’abisso “della disperazione. “Non staccare gli occhi dalla pagina” dicono. Ma è difficile farlo, quando le pagine degli altri ti sventolano continuamente in faccia.
Yellowface, R.F. Kuang
Sì, ma la scrittura?
Ho delle novità, sia brutte che belle.
Per il momento ho deciso di mettere da parte qualsiasi altra storia ambientata nella Gallea, il mondo in cui si inserisce Il Tredicesimo Nume. Ci sono voluti mesi per ammetterlo a me stessa, ma forse ero solo così stufa di sentirmi dire che il worldbuilding del romanzo fosse carente (vero, ma per scelta mia) che ho deciso di lasciarlo lì e dedicarmi ad altri progetti. Quindi per il momento niente Tauromachia e niente pugili muscolose: ci sarà da aspettare, se mai mi tornerà la voglia ma ne dubito.
Però posso dirvi che ho da poco inviato la sinossi di un racconto che verrà inserito in un’antologia molto figa, in pubblicazione credo entro la fine del 2024. Se l’idea verrà approvata (e me lo auguro visto che mi divertirei molto a scriverla) potrò finalmente mettermi all’opera su una piccola storia mentre cerco di capire in che direzione andare con la scrittura, anche perché al momento ho poche idee e tutte molto confuse. Sento di dover cambiare qualcosa nella mia routine quotidiana - al momento un caos di orari decisamente sbagliati - oltre che nella mentalità negativa con cui mi sto approcciando a un nuovo romanzo, prima di poter combinare qualcosa di decente. Ma sono fiduciosa!
Gli ultimi contenuti
Dato che ne è uscita di roba negli ultimi due mesi, vi riassumo solo i video più interessanti che sono usciti sul canale YouTube:
Nuova rubrica sull’attuale panorama fantasy in cui riassumo le novità editoriali del periodo. Sarà un contenuto molto situazionale perché serve il materiale, ma vedo che vi è piaciuto!
Il riassunto delle ultime letture, tra marzo e aprile;
Il vlog del Salone del Libro di Torino, che quest’anno mi ha vista partecipare come autrice e anche relatrice;
5 libri consigliati tra queerness e fantascienza.
Il cozy fantasy nel panorama nipponico
Ho iniziato e finito Frieren, un fantasy che di primo acchito può dare l’idea di inserirsi in un tracciato narrativo molto classico che comprende un party standard di D&D e delle belle avventure da vivere in compagnia. Niente di più sbagliato, dato che la storia inizia dopo che il gruppo di eroi ha sconfitto il Re Demone, dando il via a una prospera era di pace.
Ma cosa succede davvero a chi resta dopo aver salvato il mondo, soprattutto quando fa parte di una razza così longeva come quella degli elfi? In che modo Frieren, la protagonista, ha vissuto quei “brevi” dieci anni della sua millenaria esistenza viaggiando con la compagnia dell’eroe Himmel? La percezione individuale del tempo è una tematica che finora non mi era capitato di vedere esplorata nel panorama dell’epic/high fantasy, poiché si tende a ragionare poco su come ogni incontro ed esperienza venga elaborato da creature di cui, per ovvi motivi, fatichiamo a immaginarci la prospettiva di vita e il modo in cui memoria ed emozioni incidano sul loro quotidiano.
Oltre a essere un ottimo spunto di riflessione per chi scrive, Frieren è l’emblema del trend “cozy fantasy” trasposto in animazione (seguendo le orme dello studio Ghibli): una palette di colori rilassanti, micro avventure con dosi limitate di conflitto e un evidente focus sui legami interpersonali e la loro effimerità. La caducità della razza umana qui non è affrontata con angosciosa ineluttabilità, ma anzi diventa il pretesto per parlare del potere dei ricordi nell’elaborazione del lutto e l’intensità delle piccole cose che diamo per scontate.
E la forza del cozy fantasy risiede in questo: la capacità di non ridurre a banalità delle tematiche di così ampio respiro ma di renderle più affrontabili, elaborando ciò che difficilmente riusciremmo a digerire con una carezza di incoraggiamento.
Prossimi eventi
Giugno si è rivelato un mese davvero ricco di sorprese e soprattutto di impegni, e se da un lato non vedo l’ora che si concluda per potermi riposare un po’, dall’altro so che arriverò a luglio stravolta e con un mese in meno della mia stagione preferita. Ma andiamo per ordine:
giovedì 13 giugno alle 21:30 sarò sul canale Twitch di Ualone con Gabrielle Croix e Carlotta Martello (autrice de Il depositario dell’eco per Lumien) per una puntata di LAG “Listen to A Girl”, un format con un punto di vista femminile sul mondo videoludico e nerd;
giovedì 20 giugno ore 21 sarò invece sul canale YouTube di Scandal Wonder per parlare con altra bella gente degli ultimi libri fighi che abbiamo letto;
sabato 22 giugno alle 13 vi aspetto al Comicon di Bergamo per un panel sul fantasy, qui tutte le informazioni! Come se non bastasse, nel pomeriggio mi troverete anche allo stand di Acheron Books;
Infine, domenica 23 giugno alle 11:30 sarò ospite di Inchiostro, il festival letterario di Crema, per parlare de Il Tredicesimo Nume! Qui il programma 2024.
Ho iniziato a leggere il manga di Frieren 3/4 anni fa (anche se mi sono fermato al capitolo 84, al momento) e mi avevano colpito tre cose:
1. L'inizio che è in realtà la fine di una classica storia fantasy. Come dici tu inizia dopo che l'avventura principale del party è terminata.
2. Il focus molto di più sui legami e sui personaggi e molto meno sulla trama. Di base anche io sono più uno scrittore carachter driven e non plot driven e questa cosa, vederla in un fantasy, mi era piaciuta molto.
3. Questa narrazione d'avventura episodica. Non c'è davvero un macro plot dietro, ma tante piccole avventure che si susseguono e che sono solo una cornice per affrontare l'interiorità dei personaggi e della protagonista in questo caso.
All'epoca ancora non sapevo si chiamasse cozy lol Ancora oggi faccio difficoltò con tutte queste etichette ahahah
Commenterò, un passo per volta, ogni tuo argomento, anche solo per darti ragione.
In primis, sono d’accordo nel dire che il paragone tra scrittura estera e scrittura italica sarebbe meglio evitarlo. Anzi, sarebbe proprio meglio evitare paragoni con gli altri, ma sappiamo tutti che è uno stato zen molto difficile da arrivare. Siamo in un periodo storico dove tutto ormai sembra una gara, ci troviamo sparati sui giornali articoli di gente che si laurea in magistrale a 20 anni, con 30L in tutte le materie, 15 enni prodigio. Non a caso ormai non si parla quasi più di giornalismo ma di “fast journalism”.
Insomma, la sensazione di esser sempre in ritardo è secondo me una costante nella nostra fase generazionale.
Per la scrittura capisco l’insoddisfazione. Mi spiace per Tauromachia, ma forse è meglio così. ITN è stato un grandissimo libro (e non smetterò mai di sostenerlo) ma non ha senso rovinarsi il fegato per dimostrare qualcosa a qualcuno. Attendo invece con ansia di leggere il tuo nuovo racconto!
Frieren capolavoro, e sono assolutamente d’accordo nel definirlo IL cozy fantasy giapponese. È strano pensare che i jappo, con la loro esperienza con lo Slice of Life cozy scolastico, ci abbiano messo così tanto a presentare un prodotto del genere.
E niente, dato che sabato sarai al Bergamo Comicon, spero di riuscire a prendere una mezz’oretta di pausa per passare a salutarti e ad aumentare la pila della vergogna. 🤞🏻